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domenica 16 febbraio 2025

SANTO ALLAMANO FONDATORE MISSIONARI DELLA CONSOLATA


 

7 commenti:

  1. Antifona
    Sii per me una roccia di rifugio,
    un luogo fortificato che mi salva.
    Tu sei mia rupe e mia fortezza:
    guidami per amore del tuo nome. (Cf. Sal 30,3-4)

    Si dice il Gloria.

    Colletta
    O Dio, che hai promesso di abitare
    in coloro che ti amano con cuore retto e sincero,
    donaci la grazia di diventare tua degna dimora.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo.

    O Dio, Signore del mondo,
    che prometti il tuo regno ai poveri e agli oppressi
    e resisti ai potenti e ai superbi,
    concedi alla tua Chiesa
    di vivere secondo lo spirito delle beatitudini
    proclamate da Gesù Cristo, tuo Figlio.
    Egli è Dio, e vive e regna con te.

    Prima Lettura
    Maledetto chi confida nell’uomo; benedetto chi confida nel Signore.
    Dal libro del profeta Geremìa
    Ger 17,5-8

    Così dice il Signore:
    «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
    e pone nella carne il suo sostegno,
    allontanando il suo cuore dal Signore.
    Sarà come un tamarisco nella steppa;
    non vedrà venire il bene,
    dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
    in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
    Benedetto l’uomo che confida nel Signore
    e il Signore è la sua fiducia.
    È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
    verso la corrente stende le radici;
    non teme quando viene il caldo,
    le sue foglie rimangono verdi,
    nell’anno della siccità non si dà pena,
    non smette di produrre frutti».

    Parola di Dio.

    Salmo Responsoriale
    Dal Sal 1

    R. Beato l’uomo che confida nel Signore.

    Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
    non resta nella via dei peccatori
    e non siede in compagnia degli arroganti,
    ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
    la sua legge medita giorno e notte. R.

    È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
    che dà frutto a suo tempo:
    le sue foglie non appassiscono
    e tutto quello che fa, riesce bene. R.

    Non così, non così i malvagi,
    ma come pula che il vento disperde;
    poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
    mentre la via dei malvagi va in rovina. R.

    Seconda Lettura
    Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede.
    Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
    1Cor 15,12.16-20

    Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti?
    Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.
    Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.
    Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.

    Parola di Dio.

    Acclamazione al Vangelo
    Alleluia, alleluia.

    Rallegratevi ed esultate, dice il Signore,
    perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. (Lc 6,23ab)

    Alleluia.


    Vangelo
    Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
    Dal Vangelo secondo Luca
    Lc 6,17.20-26

    In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
    Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
    «Beati voi, poveri,
    perché vostro è il regno di Dio.
    Beati voi, che ora avete fame,
    perché sarete saziati.
    Beati voi, che ora piangete,
    perché riderete.
    Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
    Ma guai a voi, ricchi,
    perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
    Guai a voi, che ora siete sazi,
    perché avrete fame.
    Guai a voi, che ora ridete,
    perché sarete nel dolore e piangerete.
    Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

    Parola del Signore.

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    1. PAPA FRANCESCO

      ANGELUS 13 febbraio 2022

      Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

      Al centro del Vangelo della Liturgia odierna ci sono le Beatitudini (cfr Lc 6,20-23). È interessante notare che Gesù, pur essendo attorniato da una grande folla, le proclama rivolgendosi «verso i suoi discepoli» (v. 20). Parla ai discepoli. Le Beatitudini, infatti, definiscono l’identità del discepolo di Gesù. Esse possono suonare strane, quasi incomprensibili a chi non è discepolo; mentre, se ci chiediamo come è un discepolo di Gesù, la risposta sono proprio le Beatitudini. Vediamo la prima, che è la base di tutte le altre: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (v. 20). Beati voi, poveri. Due cose dice Gesù dei suoi: che sono beati e che sono poveri; anzi, che sono beati perché poveri.

      In che senso? Nel senso che il discepolo di Gesù non trova la sua gioia nel denaro, nel potere o in altri beni materiali, ma nei doni che riceve ogni giorno da Dio: la vita, il creato, i fratelli e le sorelle, e così via. Sono doni della vita. Anche i beni che possiede, è contento di condividerli, perché vive nella logica di Dio. E qual è la logica di Dio? La gratuità. Il discepolo ha imparato a vivere nella gratuità. Questa povertà è anche un atteggiamento verso il senso della vita, perché il discepolo di Gesù non pensa di possederlo, di sapere già tutto, ma sa di dover imparare ogni giorno. E questa è una povertà: la coscienza di dovere imparare ogni giorno. Il discepolo di Gesù, poiché ha questo atteggiamento, è una persona umile, aperta, aliena dai pregiudizi e dalle rigidità.

      C’era un bell’esempio nel Vangelo di domenica scorsa: Simon Pietro, esperto pescatore, accoglie l’invito di Gesù a gettare le reti in un’ora insolita; e poi, pieno di stupore per la pesca prodigiosa, lascia la barca e tutti i suoi beni per seguire il Signore. Pietro si dimostra docile lasciando tutto, e così diventa discepolo. Invece, chi è troppo attaccato alle proprie idee, alle proprie sicurezze, difficilmente segue davvero Gesù. Lo segue un po’, soltanto nelle cose in cui “io sono d’accordo con Lui e Lui è d’accordo con me”, ma poi, per il resto, non va. E questo non è un discepolo. E così cade nella tristezza. Diventa triste perché i conti non gli tornano, perché la realtà sfugge ai suoi schemi mentali e si trova insoddisfatto. Il discepolo, invece, sa mettersi in discussione, sa cercare Dio umilmente ogni giorno, e questo gli permette di addentrarsi nella realtà, cogliendone la ricchezza e la complessità.

      Il discepolo, in altre parole, accetta il paradosso delle Beatitudini: esse dichiarano che è beato, cioè felice, chi è povero, chi manca di tante cose e lo riconosce. Umanamente, siamo portati a pensare in un altro modo: è felice chi è ricco, chi è sazio di beni, chi riceve applausi ed è invidiato da molti, chi ha tutte le sicurezze. Ma questo è un pensiero mondano, non è il pensiero delle Beatitudini! Gesù, al contrario, dichiara fallimentare il successo mondano, in quanto si regge su un egoismo che gonfia e poi lascia il vuoto nel cuore. Davanti al paradosso delle Beatitudini il discepolo si lascia mettere in crisi, consapevole che non è Dio a dover entrare nelle nostre logiche, ma noi nelle sue. Questo richiede un cammino, a volte faticoso, ma sempre accompagnato dalla gioia. Perché il discepolo di Gesù è gioioso con la gioia che gli viene da Gesù. Perché, ricordiamoci, la prima parola che Gesù dice è: beati; da qui il nome delle Beatitudini. È questo il sinonimo dell’essere discepoli di Gesù. Il Signore, liberandoci dalla schiavitù dell’egocentrismo, scardina le nostre chiusure, scioglie la nostra durezza, e ci dischiude la felicità vera, che spesso si trova dove noi non pensiamo. È Lui a guidare la nostra vita, non noi, con i nostri preconcetti o con le nostre esigenze. Il discepolo, infine, è quello che si lascia guidare da Gesù, che apre il cuore a Gesù, lo ascolta e segue la sua strada.



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    2. --->Possiamo allora chiederci: io – ognuno di noi – ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, di chi si sente per bene, di chi si sente già arrivato? Mi lascio “scardinare dentro” dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee? E poi, con la logica delle Beatitudini, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù? Questo è il tratto saliente del discepolo: la gioia del cuore. Non dimentichiamoci: la gioia del cuore. Questa è la pietra di paragone per sapere se una persona è discepolo: ha la gioia nel cuore? Io ho la gioia nel cuore? Questo è il punto.

      La Madonna, prima discepola del Signore, ci aiuti a vivere come discepoli aperti e gioiosi.

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    3. Testo preparato dal Santo Padre OGGI, 16 FEBBRAIO 2025

      Fratelli e sorelle, buona domenica!

      Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l'Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra.

      Desidero salutare tutti gli artisti che hanno partecipato: avrei voluto essere in mezzo a voi ma, come sapete, mi trovo qui al Policlinico Gemelli perché ho ancora bisogno di un po' di cure per la mia bronchite.

      Rivolgo il mio saluto a tutti i pellegrini presenti oggi a Roma, in particolare ai fedeli della Diocesi di Parma, che sono venuti in Pellegrinaggio diocesano, guidati dal loro Vescovo.

      Invito tutti a continuare a pregare per la pace nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele e in tutto il Medio Oriente, in Myanmar, nel Kivu e in Sudan.

      Vi ringrazio per l’affetto, la preghiera e la vicinanza con cui mi state accompagnando in questi giorni, così come vorrei ringraziare i medici e gli operatori sanitari di questo Ospedale per la loro premura: svolgono un lavoro prezioso e tanto faticoso, sosteniamoli con la preghiera!

      E ora affidiamoci a Maria, la “Piena di grazia”, perché ci aiuti ad essere come Lei cantori e artefici della bellezza che salva il mondo.

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  2. BEATO GIUSEPPE ALLAMANO
    CONSIGLI
    L'importante nella via della santificazione è di non scoraggiarci per le nostre miserie, per trovarci sempre distanti da quella perfezione a cui sinceramente e con tutte le forze aspiriamo. La diffidenza, vedete, è tale un ostacolo che basta da sola a fermare l'anima anche la più ben avviata, a impedirle di proseguire, a farla talora indietreggiare nella buona via. L'anima diffidente è come un uccello a cui sono state tarpate le ali, che perciò non può alzarsi a volo.

    Sapete da che cosa proviene la diffidenza e quindi lo scoraggiamento? Dal confidare troppo in noi stessi, nelle nostre forze. Lo Scupoli, nell'aureo libretto del Combattimento spirituale, dice al riguardo: "Ciò ti si imprima bene nella mente: imperocché noi siamo troppo facili ed inclinati dalla natura corrotta ad una falsa stima di noi stessi, che essendo veramente non altro che nulla, ci diamo pure ad intendere che siamo qualcosa e, senza fondamento veruno, delle proprie forze presumiamo. Questo è difetto assai difficile a conoscersi e molto dispiace agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una cognizione certissima di questa verità: che ogni grazia e virtù deriva da Lui solo, che è fonte di ogni bene, e che da noi nessuna cosa, neppure un buon pensiero può venire, che grato gli sia" (192).

    Prima cosa, dunque, pregare il Signore che ci dia la conoscenza perfetta del nostro nulla. Non si tratta di farci più cattivi di quello che siamo, ce n'è già di che star ben umili; se c'insuperbiamo, è appunto perché non ci conosciamo. I grandi ingegni e i grandi Santi, come S. Tommaso (193), si può dire che non sentissero nemmeno più le tentazioni d'invanirsi, appunto perché, conoscendo a fondo se stessi, il loro nulla, sapevano riferire tutto il bene a Dio solo. Sono soltanto i mediocri e gli imperfetti che si credono qualcosa; e allora il Signore, con umilianti cadute, li richiama alla verità, cioè al conoscimento di se stessi.

    Non bisogna però che ci fermiamo qui. La conoscenza del proprio nulla e quindi la diffidenza di noi stessi, non dev'essere che il punto d'appoggio per salire alla confidenza in Dio. Scrive il predetto Autore: "La diffidenza, se l'avremo sola, fa sì che o ci daremo alla fuga o resteremo vinti, superati dai nemici. Epperò, oltre a questa, ci vuole la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando e aspettando qualunque bene, aiuto e vittoria" (194).

    Così faceva S. Filippo Neri, che andava gridando per le vie di Roma: "Sono disperato, sono disperato! ". E a chi gliene faceva rimostranza, rispondeva: "Sono disperato di me, per confidare tutto in Dio!". Il segreto di tutti i Santi, della loro santità e delle loro opere fu sempre questo: diffidare di sé e confidare in Dio. Ma confidare sempre, in ogni occasione; confidare soprattutto dopo le nostre mancanze, purché ci sia in noi la buona volontà di amarlo e di servirlo con perfezione. Mai dunque scoraggiarci delle nostre miserie che non vogliamo, ma attaccarci a Lui, abbandonarci in Lui che non solo vuole e può farci santi, ma essendo onnipotente, può costruire la nostra santificazione sulle nostre miserie; purché, ripeto, sia in noi il desiderio sincero, la volontà ferma di corrispondere alle sue grazie



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  3. -->Per riuscire vittoriosi nell'agone della santità, è inoltre necessario prendere di mira il nostro temperamento per formarlo alla virtù. Per il peccato originale, tutti partecipiamo alla natura corrotta e maligna e anche il nostro temperamento ne porta le conseguenze. Fin qui nulla di male, perché ciò non dipende da noi; dipende però da noi il dominarlo e non lasciarci da esso dominare.

    Alcuni scusano i loro difetti con dire: "E' il mio temperamento!". Ciò non scusa. Non è che si debba distruggere il proprio temperamento; ma va corretto, cioè spogliato di quanto di cattivo eredità dal peccato originale o dai parenti, e di quanto contrasse di erroneo per l'educazione o propria incuria o malizia. S. G. Cafasso, al dire di Mons. Bertagna, era un fiammifero (brichet), eppure tanto si dominava, che lo si sarebbe detto insensibile. Così S. Francesco di Sales, al quale questo lavorio sul proprio temperamento, tutto fuoco e impulsivo, costò molti anni di continui sforzi. E' un lavorio lungo e costoso, ma necessario, se vogliamo rendere buono il nostro temperamento e che non sia di peso agli altri.

    A tal fine è necessario, in primo luogo, non aver paura di esaminarci a fondo, per scoprire il lato difettoso del nostro temperamento, e quindi il bisogno che abbiamo di correggerlo. Avviene in comunità che tutti ci conoscono per invidiosi, caparbi, collerici, e solo noi non ci conosciamo per tali o, meglio, non vogliamo credere di essere tali... e guai a chi ci avvertisse di queste nostre manchevolezze! E io vi dico per esperienza che se non emendate il vostro temperamento durante gli anni della vostra preparazione, in Missione non lo correggerete più; anzi aumenterà il lato difettoso del medesimo e sarete di peso ai confratelli, nonché di scandalo agli africani.

    Che nessuno dunque si scusi del poco profitto nella perfezione col motivo del suo temperamento; accusi piuttosto la propria pigrizia. Nessun temperamento può, per se stesso, impedirci di tendere e di raggiungere la santità. Di Santi ve ne furono di ogni temperamento, come di ogni indole. Tutto sta nella buona volontà, nello sforzo continuato e generoso di combatterne le cattive tendenze. Se ci sarà più da combattere, ci sarà anche maggior merito.

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