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lunedì 26 agosto 2024

SANTA MONICA , MADRE DI S. AGOSTINO


 

4 commenti:

  1. Antifona

    Ecco la donna saggia che costruì la sua casa;
    temendo il Signore
    camminò sulla retta via. (Cf. Pr 14,1-2)

    Colletta

    O Dio, consolatore degli afflitti,
    che nella tua misericordia hai esaudito le pie lacrime
    di santa Monica con la conversione del figlio Agostino,
    per la loro comune intercessione
    donaci di piangere i nostri peccati
    e di ottenere la grazia del tuo perdono.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo.
    Prima Lettura
    Mantenete le tradizioni che avete appreso.

    Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
    2Ts 2,1-3a.13-17

    Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo!
    Noi dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità. A questo egli vi ha chiamati mediante il nostro Vangelo, per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.
    Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera. E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.

    Parola di Dio.

    Salmo Responsoriale

    Dal Sal 95 (96)

    R. Vieni, Signore, a giudicare la terra.

    Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
    È stabile il mondo, non potrà vacillare!
    Egli giudica i popoli con rettitudine. R.

    Gioiscano i cieli, esulti la terra,
    risuoni il mare e quanto racchiude;
    sia in festa la campagna e quanto contiene. R.

    Acclamino tutti gli alberi della foresta
    davanti al Signore che viene:
    sì, egli viene a giudicare la terra;
    giudicherà il mondo con giustizia
    e nella sua fedeltà i popoli. R.

    Acclamazione al Vangelo

    Alleluia, alleluia.

    La parola di Dio è viva, efficace:
    discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. (Eb 4,12)

    Alleluia.

    Vangelo
    Queste erano le cose da fare, senza tralasciare quelle.

    Dal Vangelo secondo Matteo
    Mt 23,23-26

    In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
    «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

    Parola del Signore.

    PAROLE DEL SANTO PADRE
    Chiediamo al Signore di non stancarci di andare su questa strada, di non stancarci di respingere questa religione dell’apparire, del sembrare, del fare finta di... E andare silenziosamente facendo il bene, gratuitamente come noi gratuitamente abbiamo ricevuto la nostra libertà interiore. E che Lui custodisca questa libertà interiore di tutti noi. Chiediamo questa grazia. (Santa Marta 11 ottobre 2016)


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    1. FAUSTI - “ Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!” dice Gesù parlando alla folla e ai discepoli, cioè a noi.Il male può uscire come trasgressione della legge, e si rivela come tale ; ma può uscire più sottilmente come la maschera dell'osservanza. Allora è più difficile da riconoscere.
      E' l'ipocrisia di chi fa il bene , ma non è mosso dall'amore.
      Il brano è tutto un test sull'ipocrisia religiosa, che c'è sopratutto là dove non è avvertita.
      Sorprende il tono minaccioso di Gesù, che si è definito . “mite e umile di cuore”.
      Il Signore parla delle deviazioni cultuali e pratiche o legali che sempre sono accovacciate in noi, dobbiamo riconoscerle e non farcene dominare.
      La Sua Parola richiama le vigorose invettive dei profeti : servono per scuotere da quella “pace perniciosa” (Cassiano) del male, che è il suo aspetto peggiore.
      E' segno di grande misericordia denunciare il male e maledirlo, dire-male del male e farne apparire l'inganno.
      Se la verità va fatta nella carità (Ef 4,15) , anche la carità va fatta nella verità.
      Noi preferiamo trascurare la verità in nome dell'amore, o trascurare l'amore in nome della verità, e così perdiamo ambedue, perchè ciò che è vero e ciò che è buono coincidono.
      Al bianco e al nero preferiamo la confusione indistinta del grigio uniforme.
      Ma, fin dal principio della creazione, la vita è distinzione.
      Chiamare le cose col loro nome , facendole uscire dal caos, è l'opera di Dio, che l'uomo è chiamato a continuare responsabilmente.L'oggetto del “Guai” è l'ipocrisia nelle sue varie manifestazioni.
      Nella vita personale uno che recita non entrerà mai in relazione con nessuno.
      La scissione tra ciò che si è e ciò che si dice, è l'empietà radicale : la menzogna che priva l'uomo del suo volto. Il nostro essere è essere figli del Padre. Il nostro apparire deve manifestarlo nella fraternità. Nelle sue opere uno realizza o contraddice ciò che è. Non dobbiamo recitare, bisogna essere non attori, ma fattori della Parola. Per Matteo l'ipocrisia, male supremo, è questa contraddizione tra dire e fare, o, meglio, tra dire e non fare ciò che si dice . È un abortire la Parola, invece che esserne generati e generarla.
      “Pagate la decima” la cecità si manifesta particolarmente nel legalismo :
      numerose norme e decreti regolano le cose anche minime ;ma la giustizia, la misericordia e la fedeltà sono trascurate.La stessa Parola sostituisce Colui che parla e e al quale siamo chiamati a rispondere.
      Chi è attento alla Parola in modo corretto ama il Padre e i fratelli, e in questo modo adempie la Legge – con delicatezza somma, anche nelle piccole cose – ma non per scrupolo e mania ritualistica, bensì per amore.
      L'assurdo del legalismo è di stare attento al dettaglio e non vedere l'insieme.
      Anzi, il dettaglio diventa l'oggetto di ossessione rituale, quasi una coazione meccanica e implacabile che uccide.
      “Purificate l'esterno del bicchiere e del piatto, mentre all'interno...” L'esteriorità, accuratissima, nasconde un'interiorità piena di rapina e immondezza.
      Tutto è ridotto a un tentativo di rapire la gloria, e si cade schiavi di ogni passione,perché non si ha la conoscenza dell'amore che libera e purifica.
      Ciò che conta è il cuore puro, che vede Dio e in tutto vive l'Amore del Padre, diventando, come Lui, misericordioso verso ogni miseria.

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  2. Dalle «Confessioni» di sant'Agostino, vescovo
    (Lib. 9, 10-11; CSEL 33, 215-219)
    Era ormai vicino il giorno in cui ella sarebbe uscita da questa vita, giorno che tu conoscevi mentre noi lo ignoravamo. Per tua disposizione misteriosa e provvidenziale, avvenne una volta che io e lei ce ne stessimo soli, appoggiati al davanzale di una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là presso Ostia, dove noi, lontani dal frastuono della gente, dopo la fatica del lungo viaggio, ci stavamo preparando ad imbarcarci. Parlavamo soli con grande dolcezza e, dimentichi del passato, ci protendevamo verso il futuro, cercando di conoscere alla luce della Verità presente, che sei tu, la condizione eterna dei santi, quella vita cioè che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9). Ce ne stavamo con la bocca anelante verso l'acqua che emana dalla tua sorgente, da quella sorgente di vita che si trova presso di te. Dicevo cose del genere, anche se non proprio in tal modo e con queste precise parole. Tuttavia, Signore, tu sai che in quel giorno, mentre così parlavamo e, tra una parola e l'altra, questo mondo con tutti i suoi piaceri perdeva ai nostri occhi ogni suo richiamo, mia madre mi disse: «Figlio, quanto a me non trovo ormai più alcuna attrattiva per questa vita. Non so che cosa io stia a fare ancora quaggiù e perché mi trovi qui. Questo mondo non è più oggetto di desideri per me. C'era un solo motivo per cui desideravo rimanere ancora un poco in questa vita: vederti cristiano cattolico, prima di morire. Dio mi ha esaudito oltre ogni mia aspettativa, mi ha concesso di vederti al suo servizio e affrancato dalle aspirazioni di felicità terrene. Che sto a fare qui?».
    Non ricordo bene che cosa io le abbia risposto in proposito. Intanto nel giro di cinque giorni o poco più si mise a letto con la febbre. Durante la malattia un giorno ebbe uno svenimento e per un pò di tempo perdette i sensi. Noi accorremmo, ma essa riprese prontamente la conoscenza, guardò me e mio fratello in piedi presso di lei, e disse, come cercando qualcosa: «Dove ero»?
    Quindi, vedendoci sconvolti per il dolore, disse: «Seppellire qui vostra madre». Io tacevo con un nodo alla gola e cercavo di trattenere le lacrime. Mio fratello, invece, disse qualche parola per esprimere che desiderava vederla chiudere gli occhi in patria e non in terra straniera. Al sentirlo fece un cenno di disapprovazione per ciò che aveva detto. Quindi rivolgendosi a me disse: «Senti che cosa dice?». E poco dopo a tutti e due: «Seppellirete questo corpo, disse, dove meglio vi piacerà; non voglio che ve ne diate pena. Soltanto di questo vi prego, che dovunque vi troverete, vi ricordiate di me all'altare del Signore».
    Quando ebbe espresso, come poté, questo desiderio, tacque. Intanto il male si aggrava ed essa continuava a soffrire.
    In capo a nove giorni della sua malattia, l'anno cinquantaseiesimo della sua vita, e trentatreesimo della mia, quell'anima benedetta e santa se ne partì da questa terra.

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  3. FAUSTI –
    I talenti non sono le doti o i beni da moltiplicare: rappresentano invece l'olio della parabola precedente (delle dieci vergini) , che è l'amore verso i poveri. Il talento è l'amore che il Padre ha verso di me, che deve “duplicarsi” nella mia risposta d'amore ai fratelli.
    Rispondere a questo amore, mi fa ciò che sono : figlio uguale al Padre.
    “Come un uomo emigrato in un paese lontano” il Signore , dopo aver abitato con noi, è finito sulla croce, il punto più lontano da Dio.
    Là si è fatto prossimo a ogni distanza e sofferenza. Ciò che ha fatto per noi, andando in croce, è il talento che abbiamo ricevuto. Ciò che noi facciamo ai nostri fratelli poveri, è il talento che guadagniamo : è la nostra risposta di figli al Suo Amore. Andandosene, non ci ha abbandonati ma ci ha lasciato il Suo Spirito. I talenti non sono i doni naturali, ma la coscienza della Sua Grazia e del Suo perdono.
    Ognuno ha un dono diverso, che non serve solo a segnare i nostri limiti, ma ci apre addirittura lo spazio di Dio, mettendoci con gli altri in una relazione libera e liberante, di amore e di dono.
    Se non è così , la diversità diventa lo spazio diabolico della divisione e dell'accusa, dell'invidia e della rapina, della violenza e della morte (come fecero Adamo ed Eva, e , da Caino in poi, tutti i loro figli).
    Il Signore è andato lontano, elevato prima sulla croce e poi in cielo.
    Ma non ci ha lascaiti soli . Ci ha dato il Suo Spirito, e aspetta di essere riamato, perchè noi, amando, realizziamo la nostra identità. Lui stesso resta sempre con noi, sotto il Suo segno. E' andato ad abitare tra i poveri, e ciò che facciamo per loro, lo facciamo per Lui. Siamo chiamati a fare con loro ciò che Lui per primo ha fatto con noi.
    Se il talento è il dono d'amore ricevuto, il nostro amore per Lui nei poveri è il talento che siamo chiamati a guadagnare. E' questo l'invito che Gesù fece al giovane ricco per ereditare la vita eterna (19,6-30).
    Gesù non ci esorta al profitto materiale, che provoca possesso e liti, ma al profitto spirituale , che consiste nel dono e nella misericordia.
    Ognuno deve investire il suo dono, né più né meno. Non chi ha o dà di più si realizza, ma semplicemente chi dà se stesso. Non conta la quantità, ma il fatto che tutto è dono, al quale si risponde donando tutto.
    Chi mette sotto terra il suo dono, per paura di perderlo, si allontana da sé e dagli altri.
    La nostra vigilanza è saggia e operosa, non inerte.
    Chi non investe il suo talento, lo perde.
    La causa del fallimento è la falsa immagine che abbiamo del Signore. Se Lo riteniamo cattivo ed esigente, il nostro rapporto con Lui non è di amore, ma legalistico, pauroso e sterile.
    La parabola si articola in tre tempi . Uno passato, in cui abbiamo ricevuto il dono, uno presente, in cui dobbiamo farlo fruttare, e uno futuro, in cui verrà chiesto conto di ciò che ora ne abbiamo fatto.
    Il nostro atteggiamento di paura ci fa imboccare il vicolo delle tenebre esteriori.
    La parabola stigmatizza questo atteggiamento , per svegliarci! Il giudizio futuro non lo fa Dio.
    Lo facciamo noi qui e ora.
    Lui, alla fine, non farà che leggere ciò che ora noi scriviamo.
    E Lui legge in anticipo ciò che stiamo scrivendo, perché possiamo correggerlo. Finché c'è tempo.
    La fedeltà nella cose quotidiane ci fa guadagnare la dimora eterna. I nostri piccoli gesti d'amore verso i fratelli ci fanno diventare figli. L'amore, con cui compiamo ogni azione, è l'olio, che ci fa brillare della stessa luce del Padre.
    Il servo buono è come l'Unico Buono. Infatti è come Lui, ha fatto dono di ciò che gli è stato donato.
    Questa è la grande ricompensa : la Sua gioia diventa la nostra!.
    Anche il servo che riceve due talenti, pur avendo ricevuto meno della metà del precedente , reduplica il suo dono, e riceve dal Signore la stessa ricompensa infinita.
    Il servo che aveva ricevuto un solo talento, se l'avesse investito nell'amore, avrebbe avuto la stessa ricompensa degli altri due.

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